Intervento di don Claudio al Palazzo dei Congressi di RIVA del GARDA (TN), nell'ambito del IV Convegno internazionale sulla qualità del welfare, intitolato "TUTELA DEI MINORI - BUONE PRATICHE RELAZIONALI"
Dal
mio osservatorio, una cosa è evidente: se pure esistono diritti riconosciuti in
astratto ai minori stranieri dalla Costituzione, dalla legislazione italiana e
dalle normative internazionali, la prassi risulta essere ancora ben lontana da
ciò che è sancito.
In
un clima culturale dove sono sembrate prevalere le politiche della “tolleranza
zero”, dove è in costante ascesa
l’allarme sociale, frutto di una politica migratoria di chiusura, il minore straniero
risulta essere al centro di un sistema discriminatorio e poco tutelante.
E’
pur vero che la condizione di migrante è condizione di vulnerabilità e di
svantaggio sociale e che un minore straniero più facilmente può diventare
vittima di sfruttamento da parte di organizzazioni criminali, ma occorre anche
riconoscere che i processi di emarginazione e stigmatizzazione delle condotte
devianti sono il segno di un’integrazione mancata e problematica.
I
minori stranieri non accompagnati, ancora ospiti numerosi dell’IPM Beccaria di
Milano e delle comunità penali minorili Kayròs, sono tra i più esposti alla
scelta della carriera deviante, come esito del parziale o totale fallimento del
processo di integrazione.
I
reati sono ancora troppo spesso legati ad esigenze di sopravvivenza. Facile
l’abboccamento nelle reti di criminalità gestite da connazionali, soprattutto
per quanto concerne i reati di spaccio di stupefacenti, come nel caso
prevalente dei ragazzi magrebini.
L’illegalità
è all’origine del progetto migratorio di questi minori non accompagnati; ciò li
rende facilmente ricattabili. L’uso frequente di “alias” e l’occultamento della
propria identità rendono questi ragazzi più esposti a derive devianti.
Nel
caso dei minori stranieri di provenienza araba, i reati contro la persona sono
nettamente inferiori a quelli contro il patrimonio; si tratta prevalentemente
di reati di produzione e spaccio di stupefacenti, reati di falsità di
documenti.
Non
è il caso dei ragazzi sudamericani, sempre più presenti nel circuito penale
minorile, spesso autori di omicidi consumati e tentati, violenze sessuali,
lesioni personali.
Frustrazione
di mete non raggiunte, false proiezioni con cui si affronta la scelta
migratoria, spesso portano al ricorso all’illegalità. La scarsa conoscenza del
ragazzo e della famiglia d’origine rende ancor più difficile progettare
interventi per il reinserimento di questi ragazzi nel tessuto sociale.
I
minori stranieri difficilmente possono accedere alle misure alternative alla
reclusione; non c’è alternativa al ricorso della custodia cautelare, come per
gli italiani in presenza di genitori e figure di tutela, anche in mancanza di
una difesa di fiducia.
Questa
disparità di trattamento che spesso i giudici minorili sottolineano come
obbligata per cause soggettive e oggettive riferite alla condizione sociale e
personale del minore, rende di fatto inapplicabili percorsi giudiziari di fuoriuscita
dal circuito penale di cui sono beneficiari invece i minori italiani.
Tutto
questo comporta lunghe detenzioni anche preventive per i minori stranieri non
accompagnati ed una reale mancata tutela. Scarsa appare l’attenzione alla
reintegrazione ed alla riabilitazione: il frequente trasferimento da un IPM
all’altro, il continuo spostamento da comunità all’altra, incrementano il senso
di insicurezza e non tengono affatto in conto le esigenze di stabilità emotiva
di questi ragazzi.
Del
tutto scomparsi, poi, sembrano essere i processi di mediazione culturale; la
figura del mediatore culturale è ormai un ricordo lontano.
Per
non parlare del fenomeno sempre più dilagante degli “overstayers”, ovvero
coloro che al diciottesimo anno di età compiuto permangono in condizioni di
clandestinità, dal momento che i prosegui amministrativi non sono ormai così
garantiti (è paradossalmente più tutelante per un minore straniero commettere
un reato e rientrare nell’ambito dei progetti penali minorili alternativi al
carcere, piuttosto che sperare in provvedimenti civili di prosieguo
amministrativo).
L’attuale
scenario politico e lo smantellamento del sistema del Welfare rendono sempre
più precarie le risorse a disposizione delle istituzioni nazionali e locali per
rendere effettivi i percorsi di inclusione sociale (mancanza di fondi per
tirocini di formazione professionale, difficoltà d’accesso ai servizi di
inserimento lavorativo,….).
Al
Beccaria di Milano non pochi sono, poi, gli ingressi di minori stranieri di
seconda generazione, con un accumulo di problematiche legate all’evolversi del
loro processo identitario. Il discorso si fa lungo.
Ruolo
cruciale, in tal senso, è quello della scuola come momento formativo di
adesione a un sistema di valori condiviso.
Fenomeno
ancora più complesso è quello riguardante il mondo delle minorenni straniere:
ragazze esposte a divenire più vittime di reato che autrici di reato (si pensi
alla tratta ai fini della prostituzione minorile).
I ragazzi e le ragazze stranieri che entrano
nel circuito penale costituiscono una provocazione per tutti noi, interpellano
la nostra coscienza adulta; questi cittadini invisibili ci chiedono di
orientare nuove azioni e prassi.
Le comunità Kayròs hanno sperimentato da
anni progetti di forte integrazione col territorio: minori stranieri ed
italiani vengono accompagnati in un itinerario di cittadinanza attiva e di
interazione con i servizi territoriali. A Vimodrone (nell’area est di Milano),
per esempio, gli ospiti delle comunità entrano a far parte della vita cittadina
attraverso le scuole, le parrocchie e gli oratori, le società sportive, i
gruppi familiari. Alcuni ragazzi partecipano ad attività di volontariato locale
(Protezione civile, volontariato Caritas,…), entrando così a far parte di un tessuto
sociale inclusivo. I maggiorenni, al termine del percorso comunitario, si
inseriscono nelle aziende locali, condividono mini-alloggi e danno un volto
reale alla parola “autonomia”. Gli educatori dell’Associazione Kayròs rimangono
un riferimento costante sul territorio. E’ un modo diverso di fare comunità di
accoglienza nella più ampia comunità civile.
Laddove vengono a mancare gli strumenti per
un percorso pedagogico adeguato alle necessità reali del minore straniero
accolto, si fa di necessità virtù: mancano i mediatori culturali? Sono gli
stessi ex-ospiti della comunità ad interagire, attraverso momenti informali
(cene ed incontri in comunità). I processi di apprendimento della lingua
italiana e delle materie scolastiche necessitano un sostegno? Ecco il servizio
per il tempo scolastico ed extrascolastico nato in seno all’Associazione Kayròs
ed oggi punto di riferimento per tanti altri ragazzi del territorio (onde
evitare, nell’ambito scuola, modelli di neo-assimilazionismo con le classi
cosiddette “speciali”). Mancano le condizioni per entrare nel mondo del lavoro?
Ecco il servizio per l’orientamento e per l’inserimento lavorativo e la
cooperativa KRONOS (con il suo catering “Dolci evasioni”) per formare i ragazzi
delle comunità e del territorio insieme.
Manca una cultura della reciprocità e della
prossimità? Ecco gli incontri nelle scuole e nelle parrocchie del territorio
per dare vita ad uno scambio di narrazioni che favoriscano conoscenza ed
accoglienza. Il confronto anche sui temi religiosi (in sinergia con la moschea
del territorio) è kairòs, è occasione per una reciproca crescita in umanità.
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