sabato 2 febbraio 2013

MINORI STRANIERI E GIUSTIZIA

Giovedì, 8 Novembre 2012
Intervento di don Claudio al Palazzo dei Congressi di RIVA del GARDA (TN), nell'ambito del IV Convegno internazionale sulla qualità del welfare, intitolato "TUTELA DEI MINORI - BUONE PRATICHE RELAZIONALI"

Dal mio osservatorio, una cosa è evidente: se pure esistono diritti riconosciuti in astratto ai minori stranieri dalla Costituzione, dalla legislazione italiana e dalle normative internazionali, la prassi risulta essere ancora ben lontana da ciò che è sancito.
In un clima culturale dove sono sembrate prevalere le politiche della “tolleranza zero”, dove è  in costante ascesa l’allarme sociale, frutto di una politica migratoria di chiusura, il minore straniero risulta essere al centro di un sistema discriminatorio e poco tutelante.
E’ pur vero che la condizione di migrante è condizione di vulnerabilità e di svantaggio sociale e che un minore straniero più facilmente può diventare vittima di sfruttamento da parte di organizzazioni criminali, ma occorre anche riconoscere che i processi di emarginazione e stigmatizzazione delle condotte devianti sono il segno di un’integrazione mancata e problematica.
I minori stranieri non accompagnati, ancora ospiti numerosi dell’IPM Beccaria di Milano e delle comunità penali minorili Kayròs, sono tra i più esposti alla scelta della carriera deviante, come esito del parziale o totale fallimento del processo di integrazione.
I reati sono ancora troppo spesso legati ad esigenze di sopravvivenza. Facile l’abboccamento nelle reti di criminalità gestite da connazionali, soprattutto per quanto concerne i reati di spaccio di stupefacenti, come nel caso prevalente dei ragazzi magrebini.
L’illegalità è all’origine del progetto migratorio di questi minori non accompagnati; ciò li rende facilmente ricattabili. L’uso frequente di “alias” e l’occultamento della propria identità rendono questi ragazzi più esposti a derive devianti.
Nel caso dei minori stranieri di provenienza araba, i reati contro la persona sono nettamente inferiori a quelli contro il patrimonio; si tratta prevalentemente di reati di produzione e spaccio di stupefacenti, reati di falsità di documenti.
Non è il caso dei ragazzi sudamericani, sempre più presenti nel circuito penale minorile, spesso autori di omicidi consumati e tentati, violenze sessuali, lesioni personali.
Frustrazione di mete non raggiunte, false proiezioni con cui si affronta la scelta migratoria, spesso portano al ricorso all’illegalità. La scarsa conoscenza del ragazzo e della famiglia d’origine rende ancor più difficile progettare interventi per il reinserimento di questi ragazzi nel tessuto sociale.
I minori stranieri difficilmente possono accedere alle misure alternative alla reclusione; non c’è alternativa al ricorso della custodia cautelare, come per gli italiani in presenza di genitori e figure di tutela, anche in mancanza di una difesa di fiducia.
Questa disparità di trattamento che spesso i giudici minorili sottolineano come obbligata per cause soggettive e oggettive riferite alla condizione sociale e personale del minore, rende di fatto inapplicabili percorsi giudiziari di fuoriuscita dal circuito penale di cui sono beneficiari invece i minori italiani.
Tutto questo comporta lunghe detenzioni anche preventive per i minori stranieri non accompagnati ed una reale mancata tutela. Scarsa appare l’attenzione alla reintegrazione ed alla riabilitazione: il frequente trasferimento da un IPM all’altro, il continuo spostamento da comunità all’altra, incrementano il senso di insicurezza e non tengono affatto in conto le esigenze di stabilità emotiva di questi ragazzi.
Del tutto scomparsi, poi, sembrano essere i processi di mediazione culturale; la figura del mediatore culturale è ormai un ricordo lontano.
Per non parlare del fenomeno sempre più dilagante degli “overstayers”, ovvero coloro che al diciottesimo anno di età compiuto permangono in condizioni di clandestinità, dal momento che i prosegui amministrativi non sono ormai così garantiti (è paradossalmente più tutelante per un minore straniero commettere un reato e rientrare nell’ambito dei progetti penali minorili alternativi al carcere, piuttosto che sperare in provvedimenti civili di prosieguo amministrativo).
L’attuale scenario politico e lo smantellamento del sistema del Welfare rendono sempre più precarie le risorse a disposizione delle istituzioni nazionali e locali per rendere effettivi i percorsi di inclusione sociale (mancanza di fondi per tirocini di formazione professionale, difficoltà d’accesso ai servizi di inserimento lavorativo,….).
Al Beccaria di Milano non pochi sono, poi, gli ingressi di minori stranieri di seconda generazione, con un accumulo di problematiche legate all’evolversi del loro processo identitario. Il discorso si fa lungo.
Ruolo cruciale, in tal senso, è quello della scuola come momento formativo di adesione a un sistema di valori condiviso.
Fenomeno ancora più complesso è quello riguardante il mondo delle minorenni straniere: ragazze esposte a divenire più vittime di reato che autrici di reato (si pensi alla tratta ai fini della prostituzione minorile).
I ragazzi e le ragazze stranieri che entrano nel circuito penale costituiscono una provocazione per tutti noi, interpellano la nostra coscienza adulta; questi cittadini invisibili ci chiedono di orientare nuove azioni e prassi.
Le comunità Kayròs hanno sperimentato da anni progetti di forte integrazione col territorio: minori stranieri ed italiani vengono accompagnati in un itinerario di cittadinanza attiva e di interazione con i servizi territoriali. A Vimodrone (nell’area est di Milano), per esempio, gli ospiti delle comunità entrano a far parte della vita cittadina attraverso le scuole, le parrocchie e gli oratori, le società sportive, i gruppi familiari. Alcuni ragazzi partecipano ad attività di volontariato locale (Protezione civile, volontariato Caritas,…), entrando così a far parte di un tessuto sociale inclusivo. I maggiorenni, al termine del percorso comunitario, si inseriscono nelle aziende locali, condividono mini-alloggi e danno un volto reale alla parola “autonomia”. Gli educatori dell’Associazione Kayròs rimangono un riferimento costante sul territorio. E’ un modo diverso di fare comunità di accoglienza nella più ampia comunità civile.
Laddove vengono a mancare gli strumenti per un percorso pedagogico adeguato alle necessità reali del minore straniero accolto, si fa di necessità virtù: mancano i mediatori culturali? Sono gli stessi ex-ospiti della comunità ad interagire, attraverso momenti informali (cene ed incontri in comunità). I processi di apprendimento della lingua italiana e delle materie scolastiche necessitano un sostegno? Ecco il servizio per il tempo scolastico ed extrascolastico nato in seno all’Associazione Kayròs ed oggi punto di riferimento per tanti altri ragazzi del territorio (onde evitare, nell’ambito scuola, modelli di neo-assimilazionismo con le classi cosiddette “speciali”). Mancano le condizioni per entrare nel mondo del lavoro? Ecco il servizio per l’orientamento e per l’inserimento lavorativo e la cooperativa KRONOS (con il suo catering “Dolci evasioni”) per formare i ragazzi delle comunità e del territorio insieme.
Manca una cultura della reciprocità e della prossimità? Ecco gli incontri nelle scuole e nelle parrocchie del territorio per dare vita ad uno scambio di narrazioni che favoriscano conoscenza ed accoglienza. Il confronto anche sui temi religiosi (in sinergia con la moschea del territorio) è kairòs, è occasione per una reciproca crescita in umanità.












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